Pavese, Dialoghi con Leucò

L'opera

Scritti a partire dal dicembre del 1945 – assecondando il flusso discorde della sua relazione con Leucò (forma grecizzata, e vezzeggiativo di Bianca) Garufi – sono pubblicati per Einaudi nel 1947, «nel fervore dell’immediato dopoguerra», e (perciò) accompagnati da un’avvertenza dell’autore: «Potendo, si sarebbe fatto volentieri a meno di tanta mitologia…». Non poteva, perché come ha scritto altrove, Pavese svelava in quest’opera la sua «musa nascosta» ricordandosi «di quand’era a scuola e di quel che leggeva: dei libri che legge ogni giorno, degli unici libri che legge».

Issione, Calipso, Britomarti, Orfeo, Circe, Odisseo… parlano e ci parlano dal multiverso eventico del mito, all’interno di una meditata architettura che fa dei ventisette «dialoghetti» un edificio di microtesti, corrispondendo a distanza di quattro anni all’analoga struttura implementata nel secondo Lavorare stanca. È il libro lasciato da Pavese sul comodino dell’Albergo Roma al momento del congedo, corredato dalla celebre epigrafe: «Perdono tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene? Non fate troppi pettegolezzi».

FuoriClasse

Un'unità lessicografica per entrare in dialogo con l'opera sviscerandone temi e parole